Cookie di terze parti, la decisione agli utenti.
I consigli per difendere le performance adv

La dismissione dei cookie di terze parti come strumento di tracciamento a favore della privacy degli utenti è un argomento al centro del panorama digitale da diversi anni.

Dove siamo oggi

Dall’inizio del 2024 Google ha iniziato una graduale dismissione dei cookie di terze parti per gli utenti di Chrome: a gennaio, l’1% degli utenti è stato soggetto alla rimozione dei cookie di terze parti, con l’obiettivo dichiarato di raggiungere progressivamente il 100% entro la fine dell’anno. Tuttavia, Google ha incontrato ostacoli significativi con la sua soluzione alternativa “Privacy Sandbox”, ed è stato costretto a fare marcia indietro sulla dismissione completa.
A fine luglio 2024 – cogliendo di sorpresa il mercato – Google ha annunciato che non rimuoverà più i cookie di terze parti ma che rimetterà la decisione agli utilizzatori di Chrome, in modo che ognuno possa avere la libertà di decidere se continuare a utilizzarli o meno.

Il nostro commento

Questa decisione di Big G appare inaspettata, ma Google nella pratica cambia tutto per non cambiare niente.
Partiamo dalle motivazioni plausibili: da una parte la difficoltà che Google ha riscontrato in quasi quattro anni di lavoro, nel far accettare al mercato una soluzione alternativa all’utilizzo dei cookies. Lo scopo del motore di ricerca è sempre stato quello di individuare tecnologie e soluzioni che riuscissero a fornire sistemi efficaci per il targeting pubblicitario, pur rispettando le richieste di maggiore privacy da parte degli utenti e dei regolatori pubblici. Le soluzioni sono state proposte con la speranza di ottenere un consenso che le potesse trasformare in nuovi standard utilizzati anche da competitor e altri operatori, ma il mercato ha reagito in modo critico (a volte aprioristicamente) e si è arrivati a numerosi nulla di fatto.
Secondariamente, il mercato ha avuto il tempo di iniziare a studiare le ripercussioni della dismissione, con stime numeriche delle perdite. Uno studio di Criteo è arrivato a calcolare una perdita di revenue media del 60% per gli editori, in caso di adozione di una soluzione alternativa ai third party cookies come la Privacy Sandbox. Le motivazioni sono diverse e probabilmente impattano maggiormente gli editori indipendenti o quelli più piccoli ma si può citare una considerazione su tutte: il retargeting resta uno strumento penalizzato dalla mancanza di dati e ancora non si è arrivati a una soluzione che ne recuperi il potenziale.
Da qui la decisione di Google di abbandonare la dismissione forzata.

Non cambierà probabilmente nulla: i cookie di terze parti sono destinati a essere sempre meno utilizzabili perché Google sta spostando la “responsabilità” dall’azienda agli utenti di Chrome.
In questo momento storico, la percezione degli utenti nei confronti della privacy è ancora poco informata (in termini di pro e contro) e dettata da un certo livello di superficialità ed emotività. Per questo, è verosimile che la risposta alla richiesta di Google di essere tracciati attraverso i cookies di terze parti porterà quasi certamente ad una altissima percentuale di rifiuti. I regolamenti – in primis quelli Europei – impongono di spiegare l’utilizzo e le finalità dei tracciamenti e questo non può che contribuire ai timori degli utenti.

Quello che mi aspetto è che non sia Google a eliminare dal tavolo i cookies, ma gli utenti stessi con i loro opt-out perché i cookies disponibili diventeranno talmente pochi da impedire agli strumenti di funzionare. Da qui la loro morte effettiva, anche senza che ci sia Google a svolgere il ruolo di killer.

Questo punto di vista è confermato da alcune analisi che stanno uscendo. Questa che segue è la stima di cosa ci si aspetta possa succedere sul mercato US in un prossimo futuro (non sappiamo ancora quando Google richiederà agli utenti di esprimere la propria preferenza e non ne conosciamo la forma).

La stima degli utilizzatori di Chrome che non dovrebbero accettare i cookies viene stimata in un 83%. Nei fatti rimarrà solo una piccola percentuale del totale a essere in qualche modo tracciabile. Da qui la morte effettiva di questo tipo di strumento, anche senza nessuna deprecazione da parte di Google.

Cosa Suggeriamo?

Di continuare sulla strada intrapresa senza tornare indietro. È fondamentale continuare ad adottare le più recenti soluzioni di tracciamento proposte dai player del mercato, come Privacy Sandbox di Google e il tracciamento server-side (es. CAPI di Meta). Questo garantirà da una parte di salvaguardare il più possibile il rendimento delle campagne pubblicitarie, dall’altra l’allineamento con le più recenti soluzioni privacy-safe.
In altre parole, il primo obiettivo è quello di non perdere (troppa) performance nell’efficacia delle campagne, il secondo è di farlo, rimanendo compliant con le normative privacy.

Questo articolo è stato scritto da Matteo Marconcini, Head of Performance Adv.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *