Pubblicità personalizzata: sì o no?

Nereo Sciutto intervistato da Enrico Pagliarini per 2024, il programma di tecnologia di Radio24.

Nella puntata del 20 gennaio di 2024, Nereo Sciutto, CEO di Webranking, dialoga con Enrico Pagliarini a proposito della recente vicissitudine di Meta e l’Autorità irlandese e, più in generale, di profilazione degli utenti e dati personali. Puoi riascoltare il podcast della puntata qui.


 

E.Pagliarini 🎙: Una notizia importante della settimana: l’Autorità irlandese per la protezione dei dati personali ha comminato una nuova multa a Meta per violazione delle leggi europee sulla privacy, cioè sul GDPR.
L’Autorità di settore dell’Irlanda, dove Meta ha la propria sede europea, ha deciso che la società americana dovrà pagare 5,5 milioni di euro per come vengono gestiti i dati degli utenti di WhatsApp. La multa non è elevatissima, ma si somma ai 390 milioni che Meta dovrà pagare per violazioni analoghe relative a Instagram e Facebook.
Tra l’altro anche in questo caso dobbiamo dire che la decisione arriva dal board di tutti i regolatori privacy europei che poi hanno demandato l’autorità irlandese — perché Meta ha sede in Irlanda – per l’effettiva applicazione. Tra l’altro l’autorità irlandese, nonostante il diverso avviso rispetto alle altre autorità europee, ha finora comminato multe a Meta per 1,3 miliardi di euro e ha aperti altri dieci procedimenti sui servizi della società.

Meta ha sei mesi per correggersi, ma ha annunciato ricorso dicendo di ritenere che il proprio servizio sia in regola con il GDPR. Ma come abbiamo detto in un recente approfondimento sul tema, in gioco c’è sicuramente il modello di business su cui si basano non solo i social gestiti da Meta, quindi Facebook e Instagram in primis, ma tutta l’industria della pubblicità personalizzata, la profilazione pubblicitaria e direi anche noi utenti, noi che navighiamo su internet, che usiamo le applicazioni, il rapporto con quella che potremmo definire la moneta con cui vengono pagati i servizi gratuiti che usiamo sui nostri smartphone o sui nostri computer. E se si dovesse rompere il meccanismo, la nostra esperienza potrebbe anche cambiare.
Di questo ho parlato con Nereo Sciutto, che è l’amministratore delegato di Webranking, sicuramente uno dei più autorevoli e intelligenti esperti di dinamiche di pubblicità digitale ed ecco quello che ci siamo detti.

N.Sciutto 🎙: Da una parte il problema riguarda Meta perché è stata la prima, o una delle prime, oggetto di attenzione perché qualche regolatore nazionale ha sottoposto il suo caso.
Essendo un settore che si basa più o meno sulle stesse regole e quindi su qualche forma di raccolta di dati per migliorare la pubblicità digitale, è verosimile che possano entrare anche altre aziende all’interno del perimetro ed eventualmente altre country, altri Paesi, e sottoporre la stessa richiesta nei confronti di Meta stessa. Oggi i Garanti si muovono più o meno velocemente a seconda del Paese o delle associazioni di categoria dei Paesi che segnalano questo genere di problemi, per cui diciamo che potrebbe essere solo l’inizio ed è quello che preoccupa gli addetti ai lavori.

E.P. 🎙: Però potrebbe succedere che altre aziende, vedendo quello che sta succedendo a Meta, si organizzino preventivamente e cambino addirittura un po’ il proprio modello di business.

N.S. 🎙: In realtà l’hanno già fatto. Google stessa, ad esempio, è quella più avanti all’interno del processo di cosiddetta autoregolamentazione. Nel senso che, quando hanno iniziato a sentire che il mercato manifestava un certo genere di bisogno – che in questo caso è il ribilanciamento dell’interesse dei consumatori rispetto agli investitori pubblicitari – hanno cominciato ad autoregolarsi, motivo per cui alcuni grossi annunci di cambiamento delle regole del gioco sono stati fatti dai mezzi stessi, non imposte dai governi. Tendenzialmente cercano di anticiparli, vogliono muoversi prima perché sanno che il regolatore pubblico tende a muoversi in maniera pericolosa. Quindi loro dicono ok proviamo a sottoporre noi stessi ai regolatori pubblici un tipo di soluzione che sia accettabile, sia per il nostro conto economico — perché alla fine stiamo sempre parlando di una direttrice di profitti cioè noi utilizziamo servizi digitali, pensate ai motori di ricerca, che sono gratuiti perché c’è un sistema di pubblicità che paga il conto dei server che devono far girare questi servizi.
Quindi per atterrare in un punto che garantisca comunque loro un’efficacia nell’erogazione pubblicitaria – quindi un profitto con cui pagare i costi e continuare a erogare servizi a noi – fondamentalmente è meglio se si autoregolano e molti l’hanno già fatto.
Se vogliamo il problema è che qualcuno è un po’ più in ritardo. Poi dipende anche sempre da chi ha la proprietà, ad esempio si è parlato negli Stati Uniti di Tik Tok che, con proprietà cinese, quando c’era il governo Trump, avevano avuto qualche discussione con la politica che sosteneva che sul territorio americano sarebbero dovuti arrivare addirittura a cedere le attività perché la proprietà del dato doveva essere americana.
Il problema è che in questo momento storico il regolatore pubblico tende a muoversi in maniera impulsiva, sollecitato da associazioni private che fanno advocacy e rumore sul tema privacy.

E.P. 🎙: Uno dei rischi potrebbe essere quello di arrivare fino al punto di rompere questo equilibrio e quindi di far sì che queste aziende possano anche rivedere i servizi che erogano e magari ai consumatori potrebbe derivare un danno alla fine di tutto questo.
Aspetteremo nelle prossimi settimane la risposta di Meta, ma è molto probabile che sottoporrà a tutti gli utenti di Instagram e di Facebook una domanda che suonerà più o meno così: “vuoi che i tuoi dati vengano utilizzati per poi far sì che io eroghi pubblicità personalizzata?” E alcuni dicono che il 90–95% o comunque una percentuale molto alta di utenti dirà no, potendo comunque continuare a utilizzare il servizio.
Che cosa però potrebbe accadere a noi utenti? Ma vorrei andare oltre non solo agli utenti di Facebook e Instagram, ma anche ad una ipotetica evoluzione del settore che potrebbe riguardare anche altri servizi?

N.S. 🎙: Secondo me è uno di quei casi in cui le persone hanno poche informazioni per riuscire a capire cosa sta succedendo. E quando parlo ad esempio con studenti universitari — che sono comunque le persone che oggi definiamo più digitali in assoluto – su temi come “secondo te cosa significa privacy?” oppure “quali sono i dati che interessano i pubblicitari?”, qualcuno mi dice “il mio nome cognome è un dato significativo per un pubblicitario”. In realtà non lo è, perché non ci interessa sapere chi sei, non è un’informazione che ci aiuta a lavorare meglio. Quello che mi aspetto è che le persone in questo momento siano molto attente al tema privacy, ma che non sappiano quali siano le ripercussioni o effettivamente cosa sia questa privacy che stanno cercando, per cui risponderanno aprioristicamente no a ogni possibilità di tracciamento.

In realtà questo tracciamento serve per dare qualche pubblicità un po’ più interessante, non è un’invasione effettiva della privacy, non è attiva. Esempio banale: io oggi posso sapere che il tal gruppo di utenti anonimi — non mi interessa sapere chi sono, mi interessa che sia quel gruppo di utenti identificati da un codice – è interessato a cercare una vacanza in riviera romagnola, piuttosto che una settimana alle Maldive o ai Caraibi. Quindi da questo punto di vista mi è utile, se sono un albergatore della Riviera, far vedere la mia offerta pubblicitaria a qualcuno che è interessato alla riviera romagnola.

E.P. 🎙: Mi verrebbe da dire anche a chi è interessato ad andare in riviera romagnola. Forse è meglio che gli arrivi la pubblicità della riviera romagnola piuttosto che quella dei Caraibi.

N.S. 🎙: Esatto, questo è l’elemento fondante. Quello che accadrà è che l’utente stesso che oggi cerca più privacy, riceverà un servizio peggiore. Quindi quando cominceremo a navigare anche sul sito del Sole 24 Ore o di Radio 24, vedremo una pubblicità di qualche tipo che sarà totalmente randomica e non basata su una percezione, per quanto blanda anche approssimativa, di cosa può interessarmi, ad esempio il fatto che io sia un uomo o una donna. Da questo punto di vista riceveremo pubblicità meno precisa: c’è una corrente di pensiero molto diffuso che diceva che la pubblicità deve cercare di non darti fastidio e, se è fuori target — cioè se è fuori dai miei interessi – mi dà molto fastidio. E quella interessante a volte già mi infastidisce.
L’altro problema è che l’editore vive di pubblicità: i giornalisti vengono pagati dalla pubblicità, è un’industria che produce contenuti di qualità grazie a degli sponsor. Qual è il discorso: su internet non c’è il limite della radio o della carta stampata in termini di secondi o numero di battute da rispettare, all’interno dei siti può essere messa tanta pubblicità, troppa, e di qui il problema.
Se io so che sto andando su un gruppo di persone interessate alla mia vacanza in riviera, posso spendere un pochino di più perché l’editore mi dà la possibilità di avvicinarmi a quelli maggiormente interessati; se invece io dovessi andare su tutti, chiunque, anche gente che in questo momento è in vacanza da un’altra parte e quindi non può venire nel mio albergo in riviera, spenderò moltissimo perché devo andare su un pubblico molto più ampio — quella che viene chiamata dai pubblicitari la “reach” — e disperderò il 99% di quello che sto facendo. Quindi, da un punto di vista squisitamente professionale, sto inquinando perché alla fine utilizzo più risorse di quelle che dovrei perché sto sparando un sacco di cartucce nell’aria sperando di beccare la persona giusta che, intanto, è da un’altra parte.

Quindi cosa succede? Queste aziende dovranno fare molta più pubblicità e, dovendone fare così tanta, non sono più disposte a pagarla al costo attuale, quindi il povero editore si trova tantissima pubblicità che deve erogare per riuscire a pagarsi i conti, ma essendo pagata meno ne deve erogare di più. Io utente mi trovo molta pubblicità fastidiosa e meno interessante perché non è pensata sui miei interessi e, potenzialmente, un contenuto di minore qualità perché l’editore deve tagliare i costi. Quindi la vera sintesi è: quello che mi aspetto è che oggi stiamo reagendo in maniera impulsiva al problema e che il punto di appoggio di questo settore – che si raggiungerà probabilmente negli anni e non nei mesi — sarà di qualcuno che dirà “ma io come mi sono trovato ad avere accesso a contenuti così scadenti, cos’è successo per portarmi qui?” e così progressivamente le persone decideranno di accettare la profilazione pubblicitaria per avere una pubblicità migliore o cominciare a frequentare quei siti in cui saranno più disponibili a dare qualche loro informazione in più, delle risorse all’editore per produrre un contenuto migliore. Per cui mi aspetto che si tornerà un po’ indietro. Oggi, hai ragione, il 90% delle persone risponde “no” ma mi aspetto, tra un po’, che nell’interesse di una buona esperienza utente avranno bisogno di avere una pubblicità migliore.

E.P. 🎙: Potremmo vedere questo rifiuto dei consumatori a rilasciare dati come una sorta di protesta di massa nei confronti di editori che hanno un po’ esagerato? Ti dico di no perché mi stai dando un servizio troppo sbilanciato e quindi è un invito ad aumentare anche la qualità e, il punto finale è quello che tu dici: si troverà tra qualche anno un equilibrio in cui si accetta di rilasciare qualche dato ma in cambio si avrà maggiore qualità sia in termini pubblicitari che di contenuto.

N.S. 🎙: La cosa importante dei Meta – Facebook e Instagram in primis ma anche YouTube – è che in realtà non c’è un contributo editoriale da parte del proprietario della struttura. Sono editori che non hanno giornalisti, per cui la qualità verso cui tu puoi protestare è quella dei tuoi amici, dei tuoi contatti, delle persone della tua timeline. Quindi la cosa paradossale è che questi sono soggetti che hanno competenza editoriale che è legata a una responsabilità su un contenuto di terzi, ma la cosa più curiosa è che a volte, in alcuni contesti, il contenuto migliore che puoi ricevere è un contenuto pubblicitario.
Pensa ad esempio a un contenuto pubblicitario che puoi avere su Tik Tok o su Instagram all’interno di un reel, spesso da parte di un creator che produce qualcosa che è un branded content, cioè finanziato da un brand, anche se il brand può tendenzialmente non comparire.
Questo quindi è il paradosso: a volte un contenuto interessante è una pubblicità e sei tu che scegli chi seguire, quindi quali contenuti vedere. D’altronde l’algoritmo di Tik Tok si basa sul fatto che sulla base del tuo livello di interazione ti arriva un contenuto più interessante per te; senza dati hai il problema che trovi un contenuto casuale.

La profilazione serve per migliorare la tua esperienza utente: a volte nella fruizione di un servizio editoriale, altre volte nella pubblicità che trovi nel tuo stream che, non potendola “saltare”, quantomeno puoi scegliere che sia più interessante per te.

 

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