Data Clean Room e Retail Media: cosa sono e perché sono importanti nel dibattito sulla privacy

Con la progressiva scomparsa dei cookie e l’emergere di nuovi ambienti digitali, come Connected TV, Digital Out-Of-Home e metaverso, una delle principali preoccupazioni nel mondo ad-tech è diventata trovare un nuovo standard di identificazione e una soluzione alternativa per un audience targeting e una modalità di misurazione efficaci. 

Il dato, come sappiamo, è la potenza del digital advertising. Per effetto delle più recenti novità in campo legislativo e tecnologico, gli advertiser oggi più che mai sono alla ricerca di audience di qualità.
L’orientamento generale è quello di una rivalutazione delle audience di prima parte. Tuttavia, un advertiser che faccia affidamento soltanto sui propri dati di prima parte, soprattutto se scarsi, non potrà allargare la propria customer base: per farlo, rimane necessaria una forma di condivisione con terze parti. Posta questa premessa, si spiega lo sviluppo crescente del fenomeno delle data clean room, in cui il mondo del retail ricopre un ruolo speciale. Che cosa significa?

L’apertura del retail a forme di collaborazione con gli attori dell’advertising prende il nome di retail media.

Le due articolazioni essenziali del concetto di retail media sono:

  • media on-site, l’insieme di spazi proprietari (come sito, app, newsletter, insegne digitali, etc.)
  • media off-site, che sta a indicare la possibilità di attivare il dato dei consumatori in spazi al di fuori di quelli proprietari.

Già oggi il retail media è una realtà, tanto da non essere più considerato un settore emergente, e in futuro se ne prefigura sempre più il ricorso. IAB Europe stima che la spesa in retail media raggiungerà 25 miliardi di euro entro il 2026.

Se da una parte è emersa la volontà di mettere in condivisione dati di prima parte fra advertiser e retailer, come anche publisher, dall’altra era chiara la necessità di rassicurare tutti questi attori in merito ai temi della privacy e del controllo dei dati proprietari.

Le data clean room nascono con questo obiettivo: sono punti di incontro fra soggetti che vogliano impegnarsi in iniziative di data collaboration, in un ambiente sicuro e rispettoso della normativa vigente. 

I dati in ingresso in una clean room e i PII (personal identifiable identification) vengono criptati: i raw data e i dettagli a livello di singolo utente non vengono mai esposti a terzi. Qui, le parti possono mettere a confronto i loro dati, utilizzarli per ricavare insights ad alto impatto, creare match, arricchirli con dati di prima parte di altri partecipanti alla clean room, impiegarli come base per generare delle audience lookalike e infine attivarli con campagne paid media su spazi on-site oppure, tramite piattaforme Programmatic, off-site.

Il caso del retail media è particolarmente significativo per via dei seguenti fattori: 

  • l’abbondanza di dati deterministici che il retail può mettere a disposizione, basti pensare alle catene della GDO;
  • la qualità dei dati deterministici, con dettagli che spaziano dal profilo socio-demografico e geografico alle abitudini e intenzioni di spesa dei consumatori;
  • le possibilità di misurazione e attribuzione: tramite clean room, è possibile valutare gli effetti delle campagne paid media anche sulle conversioni offline.

Un retailer può collezionare una grande quantità di dati a partire da programmi di fedeltà. Tali dati si portano dietro la storia di tutti gli acquisti effettuati dal consumatore e si arricchiranno in occasione di acquisti futuri, perciò un advertiser potrà misurare l’impatto delle campagne paid media sugli acquisti che siano stati effettuati sia via e-commerce sia in-store, con un livello di dettaglio estremamente granulare. L’impiego congiunto di retail media e clean room è perciò un ponte percorribile che permette di colmare il gap tra online e offline e finalmente misurare l’impatto omnichannel degli investimenti media.

I processi di data collaboration possono portare gli advertiser a comprendere meglio le audience, superando il tradizionale criterio di misurazione basato su cookie, per passare ad un approccio people-based e compliant con la normativa in materia di privacy. Le audience costruite nelle clean room tramite match fra diversi datasets presentano una più grande varietà di codici identificativi: un identity framework interoperabile che promette di migliorare il match rate nell’eco-sistema, affinare il targeting multi-channel, omogeneizzare le esperienze degli utenti e meglio controllare reach e frequenza. Il tutto preservando l’aspetto della privacy e affidando la sua governance a un terzo soggetto indipendente.

 

Questo articolo è stato scritto da Marco Migliorini, Programmatic Media Team Manager.

 

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