Cos’è il Performance Branding

… E perché dovrebbe interessare Manager e organizzazioni (prima che sia troppo tardi)

Ok, questa storia non è di oggi per noi in Webranking. Però se ne sta finalmente parlando tanto e forse qualcosa sta davvero cambiando per il meglio. Permettimi quindi di parlarti un secondo di come si può migliorare l’acquisto della pubblicità online.

Quello su cui voglio riflettere è la netta divisione di responsabilità fra branding e performance che oggi non trova più riscontro nel mercato. Al contrario, si fa sempre più strada il concetto di performance branding. Si tratta di un modo migliore di pianificare e costruire i contenuti pensati per le fasi di awareness che hanno tutte le caratteristiche per raggiungere obiettivi di performance. Ma vorrei soffermarmi anche sul come si possono raggiungere più facilmente risultati nella comunicazione pubblicitaria di branding nonché su quali figure in azienda sono le più indicate a farlo.

Dammi due minuti del tuo tempo per argomentare meglio e più in concreto.

È di fatto già possibile oggi, per un brand, comprare meglio e a minor costo gli spazi di advertising sul digitale. Anzi: più è ampio il budget, più sarà rilevante il delta nelle performance, soprattutto nell’investimento di upper-funnel. Lo spunto che mi ha guidato in questo ragionamento proviene da un paper di Facebook che esplora il valore delle prestazioni anche nel branding. Appunto: performance nel branding.

Il dato di fatto è questo:

Molti inserzionisti oggi faticano a bilanciare l’attivazione delle vendite a breve termine con la crescita del brand a lungo termine e sebbene entrambe siano fondamentali per il successo del marketing, le due strategie sono sempre state considerate a sé stanti.

La conferma di questa visione arriva sempre da Facebook:

Spesso i team di performance marketing (o direct response) e quelli sul brand lavorano individualmente, con i loro budget assegnati e i loro obiettivi e priorità distinti (o addirittura contrastanti).

Un tema che ritroviamo anche nella narrativa di Google che con la sua stack tecnologica — la Google Marketing Platform — insiste sul costruire una “media consolidation”: un’integrazione quindi non solo di mezzi ma anche di obiettivi, che può portare a risultati sorprendenti.

Non stiamo parlando di futuro ma di presente: già oggi molti brand stanno raccogliendo i frutti di questo modo di lavorare e ci sono casi di successo che si possono condividere e studiare per capire come adattarli a qualsiasi realtà. Noi stessi ne abbiamo realizzati diversi, alcuni in evoluzione progressiva già da qualche anno.

L’assenza di una collaborazione proficua fra branding/awareness e performance è per me il grande collo di bottiglia che inibisce la maturazione delle grandi organizzazioni su cui si basano i marchi leader. Ed è anche il presupposto che mi permette di fare un passo ulteriore per abbracciare questa visione: non è una questione di strategia — che sia marketing, sales o comunicazione — ma è qualcosa che arriva a scontrarsi con come il potere e le responsabilità vengono divise in azienda.

Il perché si debba provare a spostare la ricerca di una soluzione al livello dell’organizzazione è presto detto: siamo sinceri, prima o poi le rendite di posizione sul mercato — ma anche in azienda — cambieranno. Qualcuno ne risulterà rafforzato mentre altri perderanno potere o verranno messi da parte. Non è un tema di efficientamento nel buying come può sembrare a prima vista. È un fenomeno che prima o poi porterà a modifiche organizzative che è utile prevedere e gestire, piuttosto che subire, in primis come manager. Perché le aziende — e le organizzazioni — sono fatte di persone.

C’è quindi un grande potenziale da individuare nella gestione delle leadership interne che oggi fanno capo a questi due macro-mondi perché qualcosa sta cambiando e la capacità di adattarsi a questo shift è certamente — e darwinianamente — determinante.

Lo spiego in altro modo: uno dei mali che attanagliano il management di casa nostra (in tutti i settori e industrie) è una certa resistenza al cambiamento. L’Italia non è un paese dove sia facile — ma soprattutto conveniente — rischiare, abbracciando un’innovazione o un grosso processo di miglioramento quando intorno a sé si vedono solo ostacoli o colleghi/capi pronti alla critica, già alla prima difficoltà. La tendenza che si osserva troppo spesso porta a un elevato immobilismo, più che comprensibile eh.

In questo caso, la leva che spinge al cambiamento può essere la sopravvivenza.

Il primo che in azienda riuscirà a portare all’unione di questi due mondi — performance e branding — oggi organizzativamente distanti e a dimostrare i risultati che ne possono derivare sarà quello che resterà per certo in piedi nel medio termine.

Una seconda importante motivazione che deve portare a un cambiamento di visione è che le pianificazioni di brand tradizionali sono diventate progressivamente sempre più inefficienti. E per migliorarle serve aggiungere un “approccio performance”, un punto di vista di efficientamento che oggi non è solo — ma anche — nel prezzo del CPM.

Da qua il “Performance Branding” che non è altro del nostro modo di raccontare cosa abbiamo scelto di portare al mercato.

Come già detto, oggi questo cambiamento di visione è una scelta ma a breve diventerà una necessità, rinforzata dall’alto.

Le agenzie che seguono la parte bassa del funnel, che storicamente si occupa di acquisti in ambiente “Direct Response”, sono quelle ad avere le conoscenze degli strumenti e le skill in grado di efficientare/ottimizzare il processo di acquisto con le tecnologie di oggi. Fra queste si distinguono quelle con una competenza martech (contrazione di Marketing Technology), cioè quelle che riescono a far lavorare con successo creativi insieme a ingegneri (per fare un esempio intelligibile).

Le metriche, gli obiettivi e le capacità possono essere le stesse di chi gestisce la comunicazione di brand di oggi. Per chi fa performance è immediato effettuare analisi incrementali su un brand o convertire tutto nelle metriche tipiche di una pianificazione con quell’obiettivo. La tecnologia, le competenze sui dati, la capacità di disintermediare l’accesso a inventory premium (in reservation o in programmatic) e pure la prossima rivoluzione sull’utilizzo dei cookies, mettono gli esperti di performance nella posizione ideale di occupare questo nuovo spazio. Di essere i migliori anche nel mondo branding e awareness.

Il contrario appare più difficoltoso fosse anche solo per il gap di avviamento che non si può recuperare se non in anni, a fronte di un cambio di visione decisamente impattante.

Le competenze di data science, di integrazione di sistemi, di utilizzo di automazioni e machine learning, di accountability e di trasparenza che la tecnologia può fornire sono ben distanti da quello che sperimentiamo oggi fra l’offerta di chi si occupa di branding.

Il Manager di domani ma forse anche quello di oggi

Una nuova generazione di agenzie in grado di unire questi due mondi con efficienza è già pronta, anche se si tratta ancora di pochi operatori in Europa.

Qualsiasi innovazione però la fa la domanda, l’investitore pubblicitario. Non l’offerta e le agenzie.

Quello che manca è quel manager che capisca l’opportunità che ha nel portare in azienda questo cambiamento, prima di altri posizionati in diversi parti della stessa filiera interna.

Ma chi sarà questo manager? Sarà chi parte dal branding/awareness che decide di cambiare la gestione degli investimenti in reservation o un eCommerce manager che riuscirà a esportare verso l’alto del funnel le soluzioni e tecnologie che ha sperimentato con successo nel suo ambito?

Questa è la sfida di oggi. Perché se guardiamo fuori, è già storia vissuta. Se dovessi pensare che il confronto con UK o con la Germania non sia indicativo, posso dirti che la Spagna ha già costruito un mercato più ampio e innovativo del nostro per questo tipo di soluzioni e strategie.

Credo sia il momento di fare questo passo in azienda. Perché in ogni settore ci sarà un rimescolamento di carte e le posizioni sono destinate a non rimanere quelle di una volta. Si è sempre fatto così. Da noi funziona così. (cit.) Non so quando sarà possibile evitare tutto questo, in un mercato così aperto e globale.

Abbiamo aiutato tanti manager a gestire questa trasformazione con un approccio collaborativo e il supporto che serve per sentirsi al sicuro, sapendo che c’è qualcuno che controlla la complessità che sta sotto alle decisioni più importanti.

Webranking è un’agenzia di Performance Branding 🙂

My 2 (long) cents.

Questo articolo è stato scritto da Nereo Sciutto, CEO di Webranking.

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