Content Marketing Personalization: dai bisogni del brand a quelli dell’utente

Finalmente è ufficiale, lo scenario content è definitivamente cambiato.

Quella che da vari mesi era stata indicata solo come una tendenza — stiamo parlando della personalizzazione dei contenuti — è diventata uno dei drive principali nel content marketing. Non basta più creare contenuti che siano coerenti con l’identità del brand che li pubblica, con la certezza che automaticamente verranno apprezzati dagli utenti. La sovraesposizione di stimoli a leggere-cliccare-acquistare ha in un certo modo desensibilizzato gli utenti alla fruizione di contenuti online e aumentato la richiesta di esperienze sempre più personalizzate sulla base dei loro interessi: nel mare magnum dello scenario attuale, l’affollamento di contenuti ha reso difficile per gli utenti trovare ciò che interessa loro davvero sulla base delle esigenze personali. Al tempo stesso, la loro moltiplicazione ha portato all’aumento dei punti d’ingresso in quello che è il funnel di vendita:

Gli utenti con intenzioni d’acquisto hanno il comando. E non passano più dallo step uno al due al tre del funnel di vendite in un processo lineare: girovagando nel web esplorano, comparano, scoprono prodotti con i loro tempi secondo le loro esigenze — Anna Talarico

Siamo arrivati così al punto in cui non sappiamo quando i consumatori iniziano il funnel di acquisto, né tantomeno il percorso che seguono.
A questo punto, i content marketers devono rinunciare a seguire il percorso tradizionale di vendita? La risposta è no, devono però capire meglio a chi si stanno rivolgendo.

“User first”: una best practice da prendere in prestito

Per capire come creare contenuti che interessino davvero gli utenti, dobbiamo prima individuare cosa intendiamo con questo termine: parliamo di utenti o anche di clienti (potenziali o meno)? È verosimile che, di fronte alla disgregazione del funnel, la differenza tra i due ruoli non sia più così rilevante.

A questo punto nel content marketing deve entrare in gioco una regola da sempre fondamentale nell’ecosistema UX — “User first” — di cui va ricordato il diretto corollario: “Tu (UX designer/content strategist) non sei l’utente”.

Le parole di un articolo in un blog, per quanto ottimizzate in ottica SEO e quindi rispondenti ai bisogni di ricerca degli utenti, sono spesso scritte dal punto di vista del content marketer, che crea pensando all’azienda e al suo Tone of Voice e non dando la priorità all’utente finale.
Come scusante, si può certamente dire che esistano in realtà delle aree di interesse sovrapposte tra gli obiettivi dell’azienda e quelli degli utenti (ad esempio, le informazioni che un brand vuole dare di un suo prodotto sono praticamente le stesse che interessano ai futuri clienti di quello stesso).
Per altri contenuti invece, le divergenze di intenti tra utenti e brand aumentano vertiginosamente: ad esempio, per un pubblico B2C la comunicazione sul brand non è certo considerabile una priorità, mentre quasi sicuramente gli acquirenti B2B avranno bisogno di informazioni sull’azienda. Il trucco è offrire il giusto tipo di informazioni al momento giusto e al pubblico giusto. Per farlo, serve una comprensione approfondita delle persone che si sta cercando di attrarre e ingaggiare. Come? Considerando la massa di utenti come audience.

Audience: gli interlocutori più importanti

Ripartiamo dalla definizione: che cos’è una audience?
Possiamo considerarla come un gruppo di persone che si riuniscono con entusiasmo per ascoltare, visualizzare, leggere o in qualche modo consumare i contenuti settimana dopo settimana, mese dopo mese. L’accento non è posto tanto sull’azione dell’acquisto ma piuttosto sulla fruizione continua e spontanea dei contenuti che il brand crea e propone: è questa fiducia nel fatto che riceverà dall’azienda informazioni interessanti che caratterizza una audience.

Esistono le buyer personas, certo. Ma queste si focalizzano sui comportamenti di acquisto — e quindi contemporaneamente di vendita — rischiando così di escludere fette di pubblico importanti: non è scontato che le buyer personas di un brand corrispondano al 100% alla sua audience.

Bisogna superare l’ottica di analisi del pubblico sulla base delle vendite in sé: un’azienda deve iniziare a capire la necessità di ispirare, aiutare o intrattenere la sua audience al di là del prodotto/servizio in sensu stricto. Solo così si può creare un rapporto di fiducia nel tempo ed è quella stessa fiducia che porta in definitiva all’aumento delle vendite. La differenza è che a questo obiettivo non ci si arriva più per percorsi canonicamente coperti dal funnel di vendita.
Il punto iniziale per comprendere (e costruire) una audience è l’analisi degli iscritti alla newsletter: sono gli utenti che tutti i mesi leggono interessati le mail dedicate, quindi sono quelli che esprimono il maggior tasso di interesse nei confronti dei contenuti proposti. Un primo passo fondamentale per la creazione di un’audience è quindi migliorare la profilazione di questi utenti: come? Inserendo ad esempio dei form appositi dedicati a interessi, età e professione nel corso dell’iscrizione alla newsletter per i nuovi utenti; oppure, inviando all’interno delle newsletter delle survey ad hoc in cui vengono richieste le stesse informazioni. Raccogliendo queste informazioni, è possibile personalizzare il contenuto delle newsletter proponendo solamente le informazioni davvero rilevanti per gli utenti.

Un altro metodo per comprendere appieno le richieste di una audience è durante le stakeholder interview, dato che le persone coinvolte sono quelle selezionate sulla base di un interesse nei confronti dei prodotti del brand.
Ma anche leggere blog in cui si parla dell’azienda, monitorare i social tramite hashtag e parole chiave, leggere le recensioni lasciate, valutare le long tail keyword: sono tutti metodi utili per identificare le audience e capire quali contenuti interessanti lato utente non sono ancora stati creati.
Più informazioni vengono raccolte, più è possibile segmentare l’audience con precisione, arrivando a creare vari micro gruppi omogenei accomunati da dati demografici, interessi, comportamenti di comunicazione e uso del prodotto.

Personalizzazione: a data-driven approach

A questo punto, una volta definito a chi rivolgersi, la sfida successiva è dove proporre i contenuti. Secondo il tradizionale approccio di vendita, i contenuti creati per il pubblico si concentrano sulla parte iniziale (awareness) o intermedia (consideration) della customer journey.

Con la costruzione di una audience segmentata basata sui bisogni specifici degli utenti, la risposta non è più così immediata: la strategia -e quindi la creazione di contenuti- varia necessariamente con gli utenti stessi. Nell’evoluzione del content marketing saranno quindi necessarie sempre più esperienze multimediali che siano ottimizzate per ogni piattaforma, presenti in ogni fase del funnel di vendite e rivolte a segmenti specifici di audience.

Sulla base di questi pilastri, la creatività del content proposto è come sempre l’ingrediente che attira, persuade e fidelizza gli utenti: la differenza è che, grazie alla segmentazione dell’audience e la creazione di contenuti tailor-made, il content assume un potere di leva davvero irresistibile.

E, nel momento in cui il content è ottimizzato al meglio delle sue possibilità e performa al massimo, raccoglie nuovi dati che possono essere reimmessi nel processo di analisi per segmentare ulteriormente, creando un circolo virtuoso di personalizzazione sempre più specifica. Il risultato? Una solida strategia di content marketing data-driven che fornisce valore reale agli utenti e che incrementa le revenue delle aziende.

Un diverso approccio strategico

Siamo nel pieno dell’era della personalizzazione, dove questa non è più una buzzword ma una richiesta fondamentale da parte degli utenti nei confronti dei brand. È quindi compito di ogni content strategist assicurarsi di pensare per prima cosa a ciò di cui le persone hanno bisogno quando su internet cercano soluzioni a un problema, considerano o confrontano risposte, effettuano un acquisto o tornano sul sito. In secondo luogo, vanno creati contenuti specifici per ogni fase utilizzando un mix di formati assicurandosi che soddisfino un’esigenza informativa per il pubblico e non solo una necessità marketing per l’azienda.
Infine, tutti i contenuti devono essere accessibili e ottimizzati in tutti i touchpoint e le piattaforme così che gli utenti possano fruirne al meglio.

Questo nuovo approccio al content marketing non solo perfeziona l’esperienza dell’utente-cliente, ma pone le basi per rivoluzionare completamente il content marketing stesso.

Questo articolo è stato scritto da Alice Girotto, Content Marketing Specialist.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *