Clubhouse, all’interno del social vocale

C’è chi durante la pandemia ha saputo investire bene il suo tempo.
Stiamo parlando di Paul Davison e Rohan Seth — un imprenditore e un ingegnere – che a marzo 2020 hanno lanciato un nuovo dirompente social network: Clubhouse, ultimamente sotto i riflettori per via dei diversi finanziamenti ricevuti e la sfrenata caccia all’invito per accedere alla piattaforma.
Noi di Daimon siamo dentro alla piattaforma e stiamo iniziando già da un po’ a studiare le dinamiche decisamente innovative su cui si basa questo nuovo social.

Cos’è Clubhouse?

Possiamo definirlo un nuovo tipo di rete sociale basato sul dialogo. All’apertura dell’app vieni catapultato dentro una serie di “stanze” piene di persone che parlano, sì parlano. Non ci sono contenuti video, immagini, gif o altri elementi visivi ma solo conversazioni.
Queste stanze sono aperte, ogni utente può esplorare le diverse conversazioni entrando e uscendo liberamente… e per parlare? Beh, basta alzare semplicemente la mano! Qualche moderatore vi darà la parola.
Ogni utente può inoltre creare stanze proprie e invitare chi desidera.
Paul e Rohan lo raccontano così:

“Clubhouse è un luogo in cui incontrare amici o nuove persone in tutto il mondo, per raccontare storie, porre domande, discutere, imparare e avere conversazioni improvvisate su migliaia di argomenti diversi.” e continuano “Il nostro obiettivo era costruire un’esperienza sociale che sembrasse più umana, dove invece di postare, potevi riunirti con altre persone e parlare.”

Emerge un plus molto importante, che anche gli altri social iniziano a ritenere fondamentale: la valorizzazione della voce. Quanto spesso ci siamo dovuti giustificare per un tono frainteso in un messaggio o una battuta ironica senza malizia trasformata in un’offesa? Beh, tutto questo viene meno portando alla luce l’emotività, il sentimento e l’intenzione di una conversazione. L’intonazione e l’inflessione trasmesse attraverso la voce consentono di cogliere sfumature e formare connessioni unicamente umane con gli altri, rafforzando l’empatia tra le persone.

“Pensiamo che la voce sia un mezzo molto speciale. Senza la fotocamera accesa, non devi preoccuparti del contatto visivo, di cosa indossi o di dove ti trovi. Puoi parlare su Clubhouse mentre pieghi il bucato, allatti, vai al lavoro, lavori sul divano nel seminterrato o vai a correre”.

Vengono meno quindi elementi quali l’aspetto esteriore, la creatività visiva, l’immagine portando alla luce la parola, il pensiero e l’ascolto.
Pensiamo al ruolo che possono avere questi fattori nell’influenzare i giovani, abituati ormai a un consumismo di contenuti estremo e rapido (sempre che i teen siano interessati a questo social) oppure a come il mettersi in gioco attraverso la parola possa creare dei freni diversi ad oggi non ancora affrontati: sarò in grado di dire qualcosa che può fare davvero la differenza? Sarò in grado di gestire un pubblico e la parola di altri?
Ricordiamoci che in un contesto di questo tipo la differenza la fa soprattutto il moderatore con capacità legate alla gestione, la riflessione, l’ascolto e la capacità di soffermarsi e dare spazio a chi lo merita.

La cosa che amiamo di più è come la voce unisce le persone.

La piattaforma si sta sviluppando a un ritmo davvero notevole; è partita solo 10 mesi fa con pochi beta tester e si ritrova oggi con circa due milioni di persone in tutto il mondo tra cui troviamo musicisti, scienziati, creatori, atleti, comici, genitori, imprenditori e molti altri.

Privacy e rispetto

Di recente Clubhouse si è trovata nell’occhio del ciclone anche per quanto riguarda un’accusa relativa alla scorretta gestione della privacy e delle regole della GDPR. L’obiettivo che i founder ad oggi si pongono è quello di stabilire delle regole di gestione e moderazione precise. Pare infatti, che le conversazioni nelle room vengano registrate con crittografia solo per brevi periodi di tempo, ma solo a scopo di prevenzione degli illeciti per poi cancellarle in caso di mancata segnalazione.

Ci sono però altri dubbi che attanagliano lo staff di Clubhouse, quesiti che si legano più a una sfera sociale e relazionale, come ad esempio: come garantire che più persone abbiano voce in capitolo? Le stanze private rappresenteranno la creazione di spazi più sicuri o diventeranno delle camere di esclusione?

Clubhouse pare essere un intricato vaso di pandora che porta alla luce moltissimi quesiti, ad oggi solo sfiorati. Non porre il giusto accento su queste domande, porterebbe a complessi effetti a catena.

Come possono agire i brand su Clubhouse?

Ad oggi Clubhouse non è aperto ai brand, è possibile iscriversi al social con profilo personale solo tramite invito e in Italia, ahimè, siamo ancora ben pochi ad avere questo privilegio. Non ci sono ancora rumors per i brand riguardo la possibilità di avere uno spazio dedicato o a possibilità di investimento in advertising ma questa storia l’abbiamo già vissuta più volte, per cui non si fatica a prevedere come andrà a finire.

Questo vuol dire che per il momento il brand potranno intervenire solo tramite le persone, probabilmente nella figura del CEO, come stiamo già riscontrando in molti casi.

Dall’altra parte invece si può fare affidamento sugli influencer, o creators per usare il loro termine tecnico. Pare infatti che siano loro la linfa vitale di Clubhouse, dove l’idea è quella di creare un programma di retribuzione diretta per chi crea conversazioni e stanze di qualità, attraverso sistemi quali mance, biglietti o abbonamenti.

Scelte stilistiche e di brand: qual è il logo di Clubhouse?

Interessanti in generali le scelte cromatiche, timide e nature… tutta l’applicazione pare voler mettere in luce il contenuto più importante: la voce. Niente fronzoli, niente colori fluo, niente elementi dinamici, solo la tua voce.

Anche il logo dell’app è abbastanza dirompente, la scelta è stata quella di non creare un vero e proprio logo ma usare un’immagine più seria in bianco e nero che ritrae un uomo che sorride alla sua chitarra. Si tratta di Bomani X, un chitarrista e cantautore americano nonché imprenditore. Tra le sue start-up troviamo Lit.Spins, un servizio di abbonamento che spedisce un libro associato a un disco e New Perspectives Party, una piattaforma che permette di organizzare concerti domestici e hackathon creativi. Ad oggi è tra gli utenti più attivi sul social, è stato scelto a dicembre 2020 come rappresentate e volto dell’applicazione. Il motivo è semplice,: Clubhouse vuole mettere in evidenza i Creators al punto di annunciare su Twitter: «Ogni grosso aggiornamento, cambiamo la nostra icona per mettere in evidenza uno degli incredibili membri della nostra community». Aspettiamoci quindi una nuova icona abbastanza di frequente.

Quali sono le prossime evolutive?

L’obiettivo di Paul e Rohan è aprire Clubhouse a tutto il mondo nel 2021, anche grazie ai molteplici finanziamenti ricevuti (si contano più di 180 investitori grandi e piccoli).

  1. Clubhouse per tutti
    Ad oggi l’app è disponibile solo per IOS, l’obiettivo sarà aprire anche ad Android aggiungendo più funzioni di accessibilità e localizzazione, in modo che le persone di tutto il mondo possano sperimentare Clubhouse in un modo che sembra loro nativo.
  2. Mantenere i server attivi
    La rapida velocità di crescita della community causa oggi molteplici messaggi di errore quando i server sono in difficoltà. Gran parte dei finanziamenti ottenuti andranno alla parte di infrastruttura e alla tecnologia per garantire le performance e la velocità.
  3. Garantire la sicurezza
    Continua l’investimento verso strumenti avanzati per rilevare e prevenire gli abusi e aumentare le funzionalità e le risorse di formazione disponibili per i moderatori.
  4. Guidare l’utente
    Il numero di conversazioni che si svolgono su Clubhouse è salito alle stelle ed è importante fare in modo che l’utente trovi facilmente stanze di suo interesse o scoprire nuove stanze che non avrebbe mai pensato di cercare.
  5. Investire nei Creators
    Valorizzare e incentivare attraverso rimborsi economici gli utenti più validi e creativi.

In conclusione, possiamo dire che questa piattaforma è un vero user generated content che mette in luce un aspetto del contenuto finora trascurato. Questa potenzialità lo rende davvero diverso dagli altri permettendo l’apertura verso nuove modalità di creazione e interazione.

Questo articolo è stato scritto da Elena Salemi, Head of Creative & Head di Daimon.

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